domenica 16 novembre 2014

La pazienza non è piú virtú rivoluzionaria. E nemmeno riformista.Sembra

Immersi nella crisi ormai da quasi sei anni senza soluzione di continuitá ci troviamo faccia a faccia con la societá che va in pezzi. La vicenda di quartieri che proprio perché a differenza di quanto si dice in tv e sui media, non sono piú periferia e borgate (il disagio sociale di ripiombare nella necessitá proprio quando si era cominciati ad essere altro ...)e  dunque vivono nella carne viva i conflitti tra poveri che la crisi impone e dispone,allarma perché richiama tempi che credevamo lontani di conflitto sociale disperato,che non vede possibili soluzioni o mediazioni.
Se la politica si riduce a pensare che l'unica offerta rimane quella del populismo e personalismo mediatico,delle parate a favore di telecamera ( tre giorni prima o dopo cambia poco),allora c'è da tremare,considerato anche quale sia l'inquilino principale del Viminale!
La crisi é non piú solo economica ma sociale,e allora diventa criminale cancellare i corpi intermedi della societá proponendo un dialogo diretto con la "ggggente " che rischia di vellicare il bubbone ma mai di rimuoverlo.
Ci sarebbe piú bisogno e non meno, di sindacati partiti ( per bene rinnovati e ben organizzati ,ovvio)e associazionismo e volontariato capace di riannodare i fili di un dialogo sociale, di sciogliere le tensioni,di mettere assieme le fragilitá della societá e non di dargli solo voce affinché urlino la loro disperazione.
Servono scelte economiche serie ( per esempio piani a 5-10 anni almeno,di carattere industriale) ma anche progetti sociali da mettere in campo in cui i pezzi della societá che soffrono trovino elementi di solidarietá e di futuro.
Ma certo é piú faticoso che rilasciare dichiarazioni a raffica e puntare sempre sul prossimo uomo della Provvidenza.
La pazienza,definitivamente,non é piú virtú rivoluzionaria. E nemmeno virtú riformista,a quanto pare.

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