venerdì 8 marzo 2013

ROMA: FIN DOVE ARRIVA IL "CAMPO PIU' GRANDE"

A Roma, al Pd di Roma, serve un partito. 
Un Partito che invogli ad andare nei circoli a discutere , a confrontarsi,a parlare. Un partito che sappia ospitare idee e soggetti diversi senza paura di dover rispondere delle proprie scelte.
Un partito plurale e non una "ossificazione" delle correnti su base per di più personale e nemmeno ideologica ( che sarebbe "antico" ma almeno nobile...).  Se si discuterà di questo e se da queste settimane rinascerà una determinazione a costruire una comunità capace di parlare alla comunità più larga chiamata Roma, allora questo travaglio varrà più della scelta di una singola persona, per quanto dotata e carismatica. Perchè avremo rifatto il Partito. Ovvero il Partito Democratico che tutti volevamo alla sua fondazione...
Dopo mesi di traccheggio, da ottobre almeno dello scorso anno,finalmente al Pd di Roma si sta giungendo alla definizione di come impegnarsi nella battaglia più difficile, quella per il Campidoglio,resa ancora più dura  dal recente risultato elettorale delle elezioni politiche.
Il risultato infatti segnala un forte rischio perchè se il centrodestra è in affanno e Alemanno ancor di più a titolo personale, il partito-movimento di Grillo è in forte ascesa e in una grande metropoli i meccanismi di controllo del voto sono certamente minori rispetto al voto nelle varie provincie o nei piccoli comuni a causa della volatilità degli elettori e dell' impatto mediatico sul voto d'opinione , che è numericamente forte in città.
Così alle preoccupazioni di Bettini, esternate da qualche settimana su vari giornali, della necessità di un "campo più grande" delle forze di progresso (qui non ci interessano eventuali amarezze personali ma la visione espressa chiaramente con linguaggio "ingraiano"...) si sono aggiunte in Direzione Nazionale,in due passaggi cruciali dei loro interventi,le voci di Franceschini e Tocci. E di quest'ultimo David Sassoli ha diffuso l' intervento su internet dimostrando,unico tra i candidati per ora dichiaratisi, di rendersi conto del rischio di una elezione in cui i grillini non saranno terzo incomodo ma rischiano di essere protagonisti.
Se infatti si rispettassero i valori visti in campo nelle elezioni regionali e nazionali dello scorso 24-25 febbraio la possibilità di uno scontro Pd-Grillo al ballottaggio sarebbe evidente  e possibile; e in quel caso non è detto che il voto "terzo" o anche quello di destra non possa non riversarsi sul candidato movimentista per mere ragioni di protesta o di tattica.
Bene. Motivo per cui il Pd di Roma ( ed anche quello del Lazio) dovrebbe porsi ( lo fa in ritardo ma forse ancora in tempo) il problema non solo della pletora di candidati, che peraltro sono il frutto di lungaggini burocratiche ed allungamento del brodo regolamentare perchè nel frattempo tutta la dirigenza romana e laziale era impegnata a candidarsi al Parlamento,in Regione o a posizionarsi per la battaglia su Comune e Municipi,ma anche della necessità di dotarsi di un programma politico per la città.
Nella vicenda regionale infatti, svoltasi senza primarie, e con una evidente tendenza melodrammatica alla "melassa" del "metodo Zingaretti" che avrebbe sostituito il "modello Roma" ( della cui fine a 5 anni di distanza mai si è discusso realmente...), con effetti benefici anche rispetto al nazionale, ci si è affidati per il programma alla scelta leaderistica di un candidato con grandi qualità amministrative come è l' ex Presidente della provincia di Roma, ma senza un programma di partito condiviso,manifestazioni specifiche del Pd Lazio, al di là delle singole iniziative dei candidati e con una scelta degli stessi derivante immediatamente dalla scelta di Zingaretti di non candidare gli uscenti, che lungi dall'essere messi da parte ( e perchè mai poi ...) hanno conquistato posizioni ulteriori candidandosi in Parlamento,loro personalmente  o loro congiunti, e proponendo un candidato per area politica o personale di riferimento. Con aggiunta della non discussione sul ruolo della lista civica per Zingaretti e della composizione del "listino". Discussione che non avrebbe dovuto avere per riferimento la presenza di aree politiche ma il disegno complessivo  della maggioranza Zingarettiana.
Insomma per risolvere i problemi di necessità di maggiore democrazia abbiamo scelto la strada di usarne di meno e di favorire una leaderizzazione facendoci anche un po' di campagna "antipolitica" in casa.
Ora si immagina che questo "metodo" possa funzionare anche in casa Pd Roma. Magari imponendo un solo candidato,magari chiedendogli per cortesia di scegliersi programma,candidati ed alleanze e delegando dunque il ruolo democratico di un partito politico vivo e vegeto.
E' una scorciatoia.
E non è quello -credo- a cui si riferivano nè Tocci nè Franceschini in Direzione Nazionale e tantomeno Bettini, che conosce bene la fatica della tessitura di una trama generale,in una città complessa come Roma .
A Roma, al Pd di Roma, serve un partito. Un Partito che invogli ad andare nei circoli a discutere , a confrontarsi,a parlare.Un partito che sappia ospitare idee e soggetti diversi senza paura di dover rispondere delle proprie scelte.
Un partito plurale e non una "ossificazione" delle correnti su base per di più personale e nemmeno ideologica ( che sarebbe "antico" ma almeno nobile...).
Se si discuterà di questo e se da queste settimane rinascerà una determinazione a costruire una comunità capace di parlare alla comunità più larga chiamata Roma, allora questo travaglio varrà più della scelta di una singola persona, per quanto dotata e carismatica. Perchè avremo rifatto il Partito. Ovvero il Partito Democratico che tutti volevamo alla sua fondazione.

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